Tenuta Santa Caterina

Il Monferrato è diventato parte del Piemonte soltanto nel 1713, dopo essere stato per otto secoli uno Stato autonomo che annetteva la stessa città di Alba. Certamente ciò che differenziava il Monferrato e quella parte di Langhe dal resto del Piemonte è che in entrambe le zone il vino veniva prodotto da duemila anni, mentre ad ovest e a nord difficilmente prendevano luce prodotti degni di nota. La Tenuta Santa Caterina si erge a Grazzano Badoglio, il paese più antico del Monferrato, nella cui chiesa, un’ex abbazia benedettina è sepolto Aleramo, cavaliere di origine Sassone a cui si attribuisce la fondazione del territorio e dello stesso monastero. Leggenda vuole che costui innamoratosi della figlia di Ottone I, l’ultimo Re longobardo, rapì la giovane scappando con essa, e suo padre avendo notato il valore di Aleramo mise da parte ogni rancore assegnandogli il titolo della “marca” che il cavaliere sarebbe riuscito a segnare a cavallo in soli tre giorni. Al terzo giorno trascorso a cavallo Aleramo perse il ferro del suo stallone e per ferrarlo decise di utilizzare un mattone, che in piemontese si dice mun, da qui prende origine la parola Monferrato: ferrato col mattone.

L’influsso che il monastero fondato dal sassone esercitò sul territorio non fu solo di ordine spirituale: i monaci di San Benedetto furono infatti straordinari fautori della rinascita agricola di zona attraverso una tenace opera di disboscamento collinare che permise la coltura della vite e del frumento. Sarebbe incauto non citare come lo stesso Aleramo, prima di conquistare tali terre fu mescitore di vini alle tavole di Ottone I e fu egli stesso da “sommelier” a dare grande impulso all’opera benedettina.

La vocazione alla viticoltura di questo territorio si perde dunque nella notte dei tempi e nasce in primis dalla qualità e dalla composizione del suo terreno. Qualche milione di anni fa, infatti, la Pianura Padana non esisteva e il Mare Adriatico si estendeva fino alle montagne dell’attuale Appennino Ligure, al di là delle quali vi era un altro mare. Ciò spiega la forte similitudine tra il terrior del Monferrato e quello di Borgogna, in cui il mare si è ritirato molto prima che in Piemonte. In termini fisici e geologici questa similitudine si concretizza in una significativa presenza di conchiglie e sedimenti marini di ere diverse man mano che si scende in profondità; la cornice geologica particolarmente favorevole di Grazzano si completa inoltre di terra povera, calcarea, parecchio minerale e salina, con zone molto sciolte, caratterizzata da poche argille dure ed esigue zone pietrose.

La Tenuta Santa Caterina in particolare nasce come una propaggine fortificata dell’abbazia benedettina, una sorta di fortilizio posto in cima ad un colle il cui compito era quello di difendere il monastero dagli attacchi dei saraceni provenienti da sud, fin tanto che, dopo l’annessione del Monferrato al Ducato di Savoia (poi regno di Sardegna), venne a mancare il ruolo difensivo, rivestito dalle truppe piemontesi. Con quell’operosità un po’ sommessa tipicamente piemontese, la Santa Caterina si è quindi trasformata da fortezza in
tenuta agricola e borgo, cominciando un’attività produttiva molto attiva nel corso del XVIII e del XIX secolo; segni evidenti sono riscontrabili nelle cantine storiche dove sono conservate cisterne di cotto che contenevano vino e torchi dell’800. Purtroppo le precedenti
proprietà non sono state in grado di contrastare una progressiva decadenza che si è protratta quasi per tutto il XX secolo, finché nel 2003 la famiglia Alleva ha organizzato il recupero dell’attività agraria e il restauro del palazzo padronale. L’approccio aziendale rappresenta una via di fuga dal passo segnato dalla viticoltura del Basso Monferrato, ovvero la protratta tendenza a produrre vino in grandi quantità e bassa qualità. Si è agito coerentemente con il principio della territorialità, con una efficace opera di zonazione; a ben pensarci sarebbe stato molto più facile restare incrostati a pesanti retaggi del passato, o ancorarsi tenacemente a tradizioni vinicole ritenute consolidate e rassicuranti, ma per forte volontà della proprietà l’azienda viaggia sin dall’acquisizione a mani libere.

Nel 2003 la tenuta comprendeva vigneti, cantine, palazo e cascine abbandonati, ed è stata tale condizione a favorire un’azione sul territorio. Dei 50 ettari capillarmente analizzati ne sono stati vitati 23, preservato le vigne più vecchie e selezionato portinnesti e cloni zona per zona. Naturalmente in area di Barbera d’Asti questa ha avuto il diritto di primogenitura, pur dedicando grande attenzione all’autoctono Grignolino, vitigno difficile, bizzoso e tannico, e alla Freisa, che ricordiamo essere stato lungamente il vino
più apprezzato dai Savoia. Inoltre si è recuperata l’antica produzione del Nebbiolo, uva ormai in disuso nel Monferrato, e dato grande bianchi d’impatto del territorio.

 

LA VIGNA
Gli impianti a guyot e a cordone speronato non hanno meno di 5.000/6.000 ceppi per ettaro, ed il lavoro in vigna segue il naturale corso delle stagioni effettuando potature che permettono di produrre la metà del quantitativo d’uva consentito dal disciplinare. Dal punto
di vista fitosanitario lo spezzettamento del territorio non dà la possibilità di lavorare con regimi naturali, ma i trattamenti chimici sono comunque ridotti all’osso. La vendemmia si svolge manualmente tra l’ultima decade di agosto e la fine di ottobre, dopo aver monitorato con varie analisi i valori delle sostanze contenute nell’acino. Oltre a quella in pianta, un’ulteriore selezione delle uve viene fatta su un tavolo di selezione prima che i grappoli raggiungano la piagiadiraspatrice o la pressatura soffice. Varie sono le sperimentazioni in corso tra cui l’invecchiamento di un Nebbiolo e di uno Chardonnay entrambi vinificati in purezza.

LA CANTINA
La cantina è il palcoscenico di Mario Ronco enologo di casa, molto attento ne elezione dei lieviti, che predilige lavorare con la fisica piuttosto che con la chimica. Il controllo delle temperature è la chiave per una corretta fermentazione e per la malolattica, mentre l’aggiunta di solfiti è ridotta al minimo per stabilizzare il vino. La barrique qui trova poco spazio al contrario del tonneau e della botte grande, più rispettosi del rapporto vitigno/terroir e di una filosofia produttiva
orientata sulla valorizzazione dei cru e dell’espressione territoriale.

I VINI
La gamma ideata da Guido e da sua figlia Giulia, che in Azienda riveste un ruolo organizzativo determinante, è ben complessa e assolutamente rappresentativa del territorio. L’intento è quello di valorizzare i vini di zona scardinando inopportuni stereotipi, e non
ultimo dimostrare la longevità di queste preziose varietà territoriali. A titolo d’esempio ricordiamo che la tanto bistrattata Freisa conosciuta soprattutto per le banali versioni frizzanti, è fortemente imparentata col Nebbiolo. Geneticamente i vini hanno radici molto simili, e a differenza di ciò che si pensa la Freisa è un vitigno sofisticato, tant’è che per i piemontesi d’Ottocento rappresentava la prima scelta tra i grandi vini. Nei menu dei pranzi ufficiali di Casa Savoia, prima e dopo l’Unità d’Italia Freisa era il vino più servito, e questo la dice lunga su quanto il vitigno meriti maggiore attenzione. by Bibenda (Luca Grippo)